jeudi, juin 06, 2013

Giazira crogiuolo di comunità



Forse è utile ricordare che negli anni venti e trenta ci furono piani di segni diverso per l’insediamento di popoli “altri” nella Giazira, il triangolo tra Eufrate e le frontiere con Iraq e Turchia, un’area che apparteneva più alla Mesopotamia tradizionale che alla Siria. Nell’aprile del 1926 l’alto commissario Henri de Jouvenel propose a Chaim Weizmann, presidente dell’Organizzazione sionista, e al colonnello F.H. Kisch, capo dell’esecutivo della Palestina sionista, un insediamento ebraico nella Giazira (Gil-Har 1994, p. 157). Negli anni 1938-41 i sionisti elaborarono piani per il trasferimento della popolazione araba della Palestina nella Giazira (Masalha 1992, pp. 136-137); mentre alcuni ambienti occidentali, governativi e non, progettarono insediamenti ebraici in aree dell’Africa subsahariana, alcuni dei quali in Etiopia (Galletti 2001, pp. 178-180). 
In quel periodo la Giazira era una regione fuori delle grandi vie di comunicazione e scarsamente popolata, con tribù arabe e curde, e comunità cristiane urbane formate da armeni, assiri, caldei, siri-orientali (giacobiti). La complessa realtà sociale e culturale della Giazira contribuì alla sua instabiltà politica durante il mandato. Essendo a ridosso della frontiera turca e irachena, vi trovavano rifugio i profughi curdi e cristiani provenienti dalla Turchia e gli assiro-caldei dall’Iraq, che si insediarono grazie alla politica di assorbimento e integrazione attuata dalla potenza mandataria francese. 
Nel 1926 giunsero delle tribù nazionaliste curde che scappavano dagli attacchi turchi, e la loro presenza ruppe il tradizionale equilibrio tra tribù arabe e curde nomadi e seminomadi, soprattutto per l’accesso all’acqua, ed emerse una conflittualità arabo-curda che i funzionari francesi non furono in grado di comprendere e soffocare (Khoury 1987, p. 526). 
Gli equilibri erano precari anche per il flusso delle varie comunità cristiane che erano impegnate soprattutto nel commercio e si raggruppavano nelle città, particolarmente a Qamishli. Qui gli armeni furono dei pionieri, sia con la presenza di medici, farmacisti, avvocati, sia con la classe di artigiani, meccanici, tecnici. L’aumento del separatismo nella Giazira rifletteva il livello socioculturale e politico, dove nelle varie comunità i legami più forti erano riferiti a famiglia, clan, tribù, comunità etnica e religiosa di appartenenza. L’idea di uno stato siriano unificato non faceva parte del sentire di gran parte degli abitanti. La minoranza favorevole alla centralizzazione era costituita dai giovani laureati imbevuti di nazionalismo e in cerca di posti nella burocrazia locale (Khoury 1987, p. 527)
In un dispaccio dell’agosto 1927 il console italiano ad Aleppo delinea, senza mezzi termini, la strategia francese verso i curdi che: 
[…]  sino al 1925 costituirono gravi focolari di agitazione contro i francesi, questi però seppero attirarli dalla loro parte e da allora se ne servono per presidiare e difendere la frontiera da eventuali attacchi stranieri o di altre tribù curde. 
Mi si assicura che i figli di Ibrāhīm Pascià sono regolarmente sussidiati dal governo della repubblica; uno di essi farebbe persino mostra di una decorazione francese. 
Come accennavo dianzi, i francesi trovarono da parte delle predette tribù vivissima resistenza all’epoca del loro ingresso in Siria, ma più tardi riuscirono a domarli accaparrandosi le simpatie dei singoli capi tribù e fornendo loro largamente armi e munizioni. Di essi ebbero ancora a servirsi sia contro i turchi che contro i ribelli siriani. Pare anzi assicurato che, durante la rivoluzione del Djebel Druso, se ne siano serviti specialmente allo scopo di fomentare agitazioni e moti sulle frontiere turco-irachene, centro popolatissimo di elemento curdo, a danno dell’Inghilterra che era sospettata di favoreggiamenti a vantaggio dei drusi, e della Turchia che secondava e aiutava i nazionalisti siriani. È noto inoltre che le milizie mercenarie arruolate dalla potenza mandataria durante quest’ultima rivoluzione erano composte quasi esclusivamente di elementi curdi.1 
Il console italiano a Baghdad, Achille Sanmartin, scriveva nel 1931 che la Francia: 
[…] cerca in ogni modo di ottenere che le popolazioni curde, emigrate in massa dalla Turchia, si fissino nell’Alto Gezirè, nei pressi della colonia assiro-caldea recentemente stabilita in quella zona. A tal fine l’autorità mandataria procede all’assegnazione di terreni e alla costruzione di ricoveri, e non si preoccupa soverchiamente di controllare se i nuovi agricoltori curdi dell’Alto Gezirè maneggino alternativamente la zappa e il fucile, o si allontanino temporaneamente dalle loro residenze, varcando la frontiera per prestare man forte ai ribelli curdi che sulle frontiere turche e persiane obbediscono ad Assan (sic!) Nuri Bey.2 
I pericoli derivanti dalla concentrazione di tante etnie nell’Alta Giazira, la parte orientale superiore della regione, compresa fra l’Eufrate e il Tigri, a nord della Mesopotamia, il cosiddetto “Becco d’anatra”, erano ben presenti durante i lavori del Comitato per lo stabilimento degli assiri dell’Iraq. Infatti, in una relazione, il segretario generale della delegazione italiana a Ginevra, Renato Bova Scoppa, rileva: 
D’altra parte fra gli inconvenienti che tale piano può rappresentare il governo francese ha tenuto a far presente: 
[…] che l’applicazione di esso farà aumentare la proporzione di elementi minoritari (fra cui numerosi curdi), che già si trovano nella regione del Khabbour. Tale provincia, eccentrica rispetto a Damasco, è già “centrifuga”. Essa rischia di divenirlo ancora maggiormente e non sembra da escludere che si possa riprodurre lo stato di cose che rende oggi opportuno l’esodo degli assiri dell’Iraq.
In quegli anni la Giazira rappresentava un osservatorio privilegiato per seguire il problema curdo e assiro-caldeo. Un dispaccio del consolato di Damasco ne quantifica la presenza: “Da una statistica ufficiale circa l’immigrazione in Siria degli assiri provenienti dall’Iraq risulta che nel 1935 un numero di 17.590 assiri è arrivato nella regione di Khabur (Siria del Nord) e che più di 5000 di essi sono stati avviati nella regione degli Alaouiti”.4 
Da Aleppo, il console Paolo Alberto Rossi scrive: 
L’immigrazione assira dell’Alto Gezireh […] prosegue ed è assecondata dalla potenza mandataria in quanto ne facilita una segreta ma sempre più visibile tendenza: quella della costituzione d’un nuovo stato autonomo, a dispetto delle discussioni teoriche sull’unità del mandato. Circolano dei “mazbata” a opera delle stesse autorità (che sanno servirsi di questa forma di petizioni popolari quando loro conviene) tra le popolazioni minoritarie (armene e curde) chiedenti alla potenza mandataria di voler staccarle dalla Siria e creare una loro propria amministrazione con sede a Deyr al-Zor. L’interesse francese nel “Bec de Canard” è aumentato in seguito al prolungamento della ferrovia (costruita a spese dell’erario siriano) di Baghdad…5 
Nella Giazira si diffondevano tendenze separatiste e petizioni. Dal canto loro i nazionalisti siriani protestavano violentemente contro l’immigrazione degli assiro-caldei. Rispecchia il sentimento di gran parte dei siriani il documento uscito clandestinamente nell’autunno del 1937 a Damasco a opera di Khālid Bakdāsh, segretario generale del Partito comunista siriano. L’autore, di origine curda, accusa le autorità francesi di strumentalizzare i profughi recenti nella Giazira di origine sira, armena e curda. Verrebbero favoriti rispetto agli abitanti di lunga data per contrastarli e per indebolire le varie comunità (Vacca 1938, p. 200). 
L’apertura della Giazira a nuovi insediamenti ne rivelò il grande potenziale economico. Gli aspetti positivi delle ondate di immigrazione superarono largamente le aspettative. I rifugiati contribuirono a dissodare e a coltivare le steppe dell’Alta Giazira, che in pochi anni divenne il granaio della Siria. La regione pullulava di villaggi curdi, assiri, armeni e yezidi. Come testimonia il domenicano francese Drupier, che in una relazione scrive che in dieci anni i raccolti sono aumentati da 1500 tonnellate di grano nel 1926 a 50.000 tonnellate nel 1936. La popolazione non è ricca, eccetto poche famiglie residenti nelle grandi città. La popolazione non vive con grandi comfort, ma sopravvive. Ad esempio, a Qamishli non ci sono famiglie cristiane che vivono in povertà. Solo un quarto della terra è coltivato. Inoltre sono presenti risorse petrolifere.6 
In risposta alla crescita del nazionalismo arabo, nel febbraio 1936 forze separatiste guidate dal sindaco cristiano di Qamishli e da due preminenti capi tribali curdi – Hajô Agha e Mahmūd Bey dell’area di Qamishli – chiesero l’autonomia amministrativa e finanziaria, la continuazione del mandato francese, la nomina di funzionari locali sotto un governatore francese. I nazionalisti locali immediatamente intrapresero una campagna contro i separatisti, accusandoli di essere agenti della Francia, e forzarono la comunità cristiana a modificare le proprie richieste (Khoury 1987, p. 528). Il 2 luglio 1939 l’alto commissario emise un decreto per cui la Giazira godeva di un regime speciale, sotto il diretto controllo francese. 
Con la fine del mandato e l’ascesa del nazionalismo siriano è rimasto ben poco di quel movimento che negli anni trenta cercava uno sviluppo autonomo per l’area. Questa sembra però essere tuttora sentita come un’area non ben strutturata, non facilmente governabile da un potere centrale.
Mirella Galletti : Storia della Siria contemporanea.

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